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Appia AnticaBack
 
Quasi di fronte all’ingresso delle terme di Caracalla la piccola chiesa dei Ss. Nereo e Achilleo già titulus fasciolae (per la leggenda che a S. Pietro, fuggito dal carcere Mamertino, cadesse qui la benda che fasciava la piaga prodotta dalle catene), rifatta da Leone III verso il secolo IX e restaurata dal cardinale Baronio nel 1597. La modesta facciata ha di fronte un’antica colonna sormontata da una croce.
A sinistra del piazzale Numa Pompilio la via Druso, per la quale si sale alla Porta Metronia e, continuando nella via della Navicella, sul Celio; a destra del piazzale la via delle Terme di Caracalla, che sale alla Porta Ardeatina, presso il Bastione del San Gallo. Al centro ha inizio la via di Porta S. Sebastiano, che conclude alla Porta omonima il percorso urbano della Via Appia Antica.
Si imbocca la via di Porta S. Sebastiano: a sinistra la via di Porta Latina; a destra la Chiesa di S. Cesareo, costruita sopra un edificio termale romano e rifatta alla fine del secolo XVI, forse da Giacomo Della Porta, con sobria facciata rinascimentale. Subito dopo, pure a destra, la casa del cardinale Bessarione (XV secolo), con finestre a crociera e loggia laterale. Poi a sinistra, dopo il muretto che cinge il parco degli Orti di Galatea, al n. 12 il Sepolcro degli Scipioni, scoperto nel 1780, sistemato nel 1926-1929.
Dall’ingresso si passa a sinistra nel recinto degli scavi, dominato dai 3 piani di una casa romana, del III secolo dell’impero. A destra della casa, un breve braccio di catacombe cristiane; nello spiazzo di fronte alla casa, una scaletta scende ad un colombario rettangolare, con le pareti crivellate dalle nicchiette per urne cinerarie (donde il nome di colombario) e, in mezzo, due pilastri (uno quasi interamente distrutto) con altre nicchiette. A sinistra della casa romana, in basso, il Sepolcro degli Scipioni, una delle più grandi famiglie della Roma repubblicana, i cui componenti continuarono ad esservi inumati anche quando la cremazione era diventata abituale. Della facciata rimangono il basamento con tracce di porta e le basi di due colonne di un portico di peperino. L’interno, buio e freddo, si presenta come un intreccio di grossi blocchi e di stretti passaggi. Subito a sinistra dell’ingresso, sarcofago di un giovane Scipione, questore nel 167 a. C.: l’epigrafe ricorda che il padre sottomise il re Antioco. Si prosegue direttamente e si passa in un punto ristretto da 2 sarcofagi, che recano la copia delle antiche epigrafi: quello a sinistra è del figlio di Scipione Barbato, console nel 259 a. C., conquistatore della Corsica e dell’Algeria; quello a destra, probabilmente, del fratello dell’Ispano. Poi, di fronte, la copia (l’originale è in Vaticano) del sarcofago di Scipione Barbato, console nel 298 a. C., conquistatore del Sannio e della Lucania e avo dell’Africano. A sinistra di esso il Sarcofago di Cornelio Scipione Asiatico. Si prosegue a sinistra; si trovano il sarcofago di Paola Cornelia, sposa di Scipione Ispano e 2 loculi, uno dei quali del I secolo, appartenne forse ai Corneli Lentuli, eredi degli Scipioni. Si arriva ad un calcara, ove dovettero essere ridotti in calce i marmi dei monumenti circostanti dell’Appia, che è stata conservata quale esempio dell’incosciente vandalismo del Medioevo e del Rinascimento: a destra il sepolcro di un ignoto e a sinistra quello di Cornelio Getulico; poi si volta a sinistra in un andito, ove è copia dell’epigrafe di M. Giunio Silano. Traversato il corridoio principale e scesa una scaletta di ferro, si arriva all’estremità Ovest della Tomba: di fronte, un sarcofago per 2 salme, con l’iscrizione di Gneo Cornelio Scipione Ispanico, pretore nel 139 a. C.; a sinistra, presso il piano inferiore della casa romana, epigrafe di Publio Cornelio Scipione col commovente compianto di lui, morto giovanissimo (figlio dell’Africano?).
Negli attigui Orti degli Scipioni, oggi giardino pubblico, il colombario di Pomponio Hylas, scoperto nel 1830, perfettamente conservato. A metà di una scaletta, di fronte a chi scende, è un edicola a mosaico, con l’urna cineraria dei fondatori: Pomponio Hylas e sua moglie Pomponia Vitalinis. Si giunge nella piccola stanza sotterranea, con le pareti rivestite di stucchi e di interessanti pitture del I secolo, e traforate da nicchiette, parte a edicola, ciascuna con due cavità chiuse da coperchi, per le urnette cinerarie. Dai titoli risulta che molti dei defunti erano liberti di Augusto e di Tiberio.
Uscendo a sinistra del Colombario, sulla via di Porta Latina, si vede a destra l’oratorio di S. Giovanni in Oleo, cappella ottagonale isolata, rifatta da Giulio II (1509), restaurata da Alessandro VII (1658). Sorge sul luogo ove si vuole che Giovanni Evangelista uscisse illeso dal supplizio dell’olio bollente, il che gli valse salva la vita con l’esilio a Patmos. L’attuale cappella, rifatta sull’antica, sarebbe del Bramante; ma l’interno ottagono è del Borromini. Sulla porta, stemma del prelato francese Benedetto Adam (XVI secolo), con il motto "Au plaisir de Dieu".
Di fronte, oltre il muro del collegio Missionario, un grosso nucleo di sepolcro antico. Dietro il collegio (passare a sinistra per la via di S. Giovanni a Porta Latina), la chiesa della fine del V secolo, rifatta nel 722 e più volte restaurata.
La facciata, fiancheggiata dal campanile romanico, è preceduta da un portico. All’esterno, 2 basse colonne di granito, antiche come quelle che dividono le tre navate all’interno, e come il pavimento davanti all’altare. Sotto il tetto a capriate visibili affreschi della fine del XII secolo (Storie del Vecchio e Nuovo Testamento), molto deteriorati, ma di grande interesse, come inizio della pittura romanica.
La via di Porta Latina termina, qualche passo oltre S. Giovanni in Oleo, alla Porta Latina, aperta da Bellisario nelle mura Aureliane e fiancheggiata da 2 torrioni cilindrici. Notare nella chiave dell’arco, all’interno, la croce iscritta in un circolo. Proseguendo oltre la Porta Latina per il viale Latino, si arriva a Porta S. Sebastiano.
Dagli Orti degli Scipioni si ritorna sulla via di Porta S. Sebastiano: a destra di fronte all’ingresso del Sepolcro degli Scipioni, la graziosa villa Appia delle Sirene, con un bel parco, costruita verso il 1500 sui resti, in parte ancora visibili, di un ipogeo romano, e su un’altra costruzione antica a volta con lunette (secondo la leggenda, il Tempio della dea della Tempesta, fatto erigere da Scipione l’Africano di ritorno dall’Africa per il voto dell’aver superato forti tempeste). La via di Porta S. Sebastiano termina alla porta omonima, preceduta da un Arco di Trionfo detto di Druso, che invece appartiene probabilmente al II secolo (di Traiano o meglio di Lucio Vero); fu utilizzato da Caracalla come sostegno per l’acquedotto sulla via Appia. Dei tre Archi primitivi resta il centrale, con 2 colonne di giallo antico, di ordine composito, sul lato estremo. Al di là dell’arco si leva la Porta di S. Sebastiano, già Appia, corrispondente alla Porta Capena delle Mura Serviane, ricostruita nel V secolo da Onorio e restaurata nel VI secolo da Bellisario e da Nersete. La fiancheggiano 2 imponenti torri Medievali, turrite, semicilin-driche nella parte superiore esterna. Nella chiave dell’arco si vedono ancora le sigle greche, in uso al tempo dell’esarcato, e la croce iscritta in un circolo. Nel muro interno della Porta è un iscrizione del 1327 che ricorda la sconfitta (il 23 settembre) di Re Roberto Di Napoli, per opera di Iacopo De Pontianis, caporione romano di Trastevere. Interessante è il tratto delle Mura Aureliane da Porta S. Sebastiano a Porta S. Paolo. Si volta a destra nel viale Ardeatino e, giunti alla 10a torre, si vede nella cortina la traccia di una Porta, che alcuni dicono l’Ardeatina. Più lontano, il Bastione del Sangallo, caratterizzato da enormi muri a scarpa, con cordone di pietra in alto, costruito per mandato di Paolo III da Antonio da Sangallo il Grande. Al di là, le mura riprendono, salendo l’Aventino; poi scendono, con bellissimo tratto turrito, a Porta S. Paolo.

L’APPIA ANTICA
Fuori di Porta S. Sebastiano, incomincia la Via Appia Antica, che corrisponde al tratto extraurbano dell’antica via Appia. Era la più importante delle vie consolari, detta regina viarum, famosa per gli splendidi monumenti sepolcrali che sorgevano ai lati di essa lungo gran parte del percorso. Fu aperta nel 312 a. C. Dal censore Appio Claudio, il quale rettificò certamente una via già esistente, che conduceva da Roma ai Colli Albani, prolungandola fino a Capua. Questo tracciato toccava Aricia, Forum Appii nelle Paludi Pontine, Terracina, Fundi, Formiae, Minturnae, Sinuessa (Mondragone). Ben presto si pensò di lastricare di selci la via, che poi venne prolungata, verso il 190 a. C., per Benevento fino a Venosa (fondata allora con 20 mila coloni romani) e quindi fino a Taranto e Brindisi, creandosi così una comunicazione diretta con l’Oriente. Il tratto Benevento-Taranto- Brindisi perdette ogni importanza quando venne sostituito dalla via Appia Traiana, che toccava invece Aecae, Canusium, Barium. Dopo la decadenza dell’Impero l’Appia rimase a lungo inutilizzata e si deve a Pio VI la sua riapertura. La visita è interessante sia per l’importanza archeologica dei resti di monumenti, sia per il caratteristico e pittoresco paesaggio. La parte più attraente è soprattutto dalla Tomba di Cecilia Metella a Casal Rotondo. Su molti tratti è conservato l’antico pavimento di poligoni di basalto dei Monti Albani; nei lati sono le crepidines (marciapiedi). La strada è in parte in rilevato sulla campagna con opere di muratura, ciò che permette una bella vista, altrove è in trincea. Poche rovine sono state identificate con certezza; del maggior numero restano solo avanzi dei basamenti e del nucleo interno di calcestruzzo. Le tombe hanno le forme più varie, ma vi predominano torri e tumuli.
La via Appia Antica scende nel primo tratto l’antico Clivus Martis (a destra, circa 120 metri dopo la porta, una lapide ricorda che in quel luogo fu rinvenuta la prima colonna miliare, conservata nei Musei Capitolini), passa sotto un cavalcavia e scavalca la marrana della Caffarella o fiume Almone, dove i sacerdoti della Magna Mater lavavano ogni anno il simulacro della dea (si vedono a destra i primi resti di sepolcri). Subito dopo a sinistra la cosiddetta tomba di Geta, alto tumulo in laterizi che ha in cima una casetta. Al Km 0,8 dalla Porta, a sinistra, la Chiesa del Domine quo vadis?
Secondo una tradizione popolarizzata dal famoso romanzo di Enrico Sienkiewicz, in questo punto Gesù apparve a S. Pietro, che fuggiva da Roma per evitare il martirio e, all’Apostolo che gli chiedeva: Domine, quo vadis?, rispose: Venio iterum crucifigi (vengo a farmi crocifiggere per la seconda volta).Pietro capì e tornò ad affrontare la morte. Nella chiesa si mostra una riproduzione delle impronte che, secondo la leggenda, Gesù lasciò su una pietra, conservata a S. Sebastiano.
A 12 Km dall’altezza del Domine quo Vadis?, dalla parte della via Ardeatina, si giunge alla tenuta di Castel di Leva, ove è il Santuario della Madonna del Divino Amore (protettrice di Roma), la cui festa si celebra il lunedì di Pentecoste.
Il Santuario sorse nel 1745 per custodirvi un’immagine della Madonna, dipinta da ignoto nel XIV secolo su una torre del Castel di Leva, fortezza degli Orsini, poi dei Savelli (1200), chiamata allora Castrum Leonis (Castello del Leone). Distrutto il castello (XV secolo), rimase in piedi la torre ove era dipinta la Madonna alla quale un pellegrino, assalito in quei pressi da cani furiosi, attribuì la sua salvezza miracolosa. La fama dell’accaduto, sparsasi con ampiezza insolita per un fatto di per sé non eccezionale, richiamò ai piedi dell’immagine tali folle di pellegrini che pochi anni dopo veniva innalzato il Santuario rimasto tale fino al 1999, anno nel quale fu sostituito da quello attuale.
Dopo la Chiesa del Domine quo vadis la via Appia si eleva sulla campagna, con bella vista, dalle mura di Roma, a sinistra, ai colli Albani, a destra. Subito al principio della salita, si stacca a sinistra la via della Caffarella, che, dopo un km circa di tortuoso percorso tra i campi, lascia a sinistra una stradetta che scende a una mola (già molino della Caffarella). Vi si trova, tra vecchie casupole, il cosiddetto Tempio del Dio Redicolo (cioè quello eretto alla divinità che avrebbe costretto Annibale a tornare indietro), in realtà un ricco monumento sepolcrale del II secolo che si identifica con quello di Annia Regilla, moglie di Erode Attico. E’ quadrato, coperto, abbastanza ben conservato all’esterno.
Dopo la breve salita, l’Appia costeggia a sinistra il nucleo di un sepolcro, altissimo e coronato di vegetazione e, in una cascina, gli avanzi pittoreschi del colombario detto dei Liberti di Augusto. Poco dopo, a destra, il luogo della seconda colonna miliare, segnato da una piccola lapide nel muro di fronte all’entrata rustica della villa Casali, grazioso fabbricato in cui sono incastrati alcuni marmi. Qui è l’accesso all’ipogeo di Vibia, in cui sono interessanti pitture relative a Giove Sabazio, Ermete Psicopompo, ecc.
Al km 1.8 l’ingresso alle catacombe di S. Callisto, tra le più importanti di Roma, non interamente esplorate. Ebbero nome al principio del III secolo da Callisto, preposto sotto papa Zeffirino all’amministrazione del cimitero stesso. Callisto, divenuto papa, ingrandì la necropoli, che divenne il sepolcro ufficiale dei vescovi di Roma. La parte più antica è la regione di Lucina; seguono la regione di Callisto (cripta dei papi), di S. Cecilia e di S. Eusebio, la galleria dei Sacramenti, la regione Liberiana (IV secolo).
Percorso un viale di cipressi, si è condotti a vedere una piccola basilica con tre absidi, la cella con tre cori dei Ss. Sisto e Cecilia. Nell’interno, busto di G. B. De Rossi, il moderno fondatore dell’archeologia cristiana, che incominciò da questo luogo gli studi dei cimiteri cristiani dell’Appia (1850); iscrizioni e frammenti di sculture provenienti dalle catacombe; davanti all’abside mediana, avanzi della tomba di papa Zeffirino (morto nel 219), il cui corpo fu qui trasportato dal primitivo sepolcro nella catacomba insieme con quello dell’accolito Tarcisio, il martire dell’Eucaristia.
Vicino è l’ingresso alle catacombe, ove si scende per una scala antica. Si visita prima la cripta dei papi con tombe di più pontefici (episcopi) romani del III secolo; vi sono conservate le iscrizioni originali in greco di Ponziano (morto nel 235), Antero (m. 236), Fabiano (m. 250), Lucio (m. 254), Eutichiano (m. 284). Vi fu sepolto anche Sisto II, ucciso nella persecuzione di Valeriano (258). In onore dei martiri, papa Damaso, (367-384), grande cultore delle loro memorie, pose l’epigrafe metrica nel fondo della cripta (si osservino i caratteri, espressamente creati dal valente calligrafo del tempo di Furio Dionisio Filocalo). Nella cripta contigua era la tomba di S. Cecilia, le cui reliquie furono rimosse da Pasquale I (inumata nella chiesa di S. Cecilia in Trastevere). Alle pareti, S. Cecilia, S. Urbano, testa di Salvatore, affreschi del VII-VIII secolo. Poco lontano dalla cripta dei papi, una galleria del III secolo conduce ai cubicoli dei Sacramenti: Battesimo, Penitenza, Eucaristia, preziosi simbolici affreschi del principio del III secolo. Più oltre, l’importante cripta del papa Eusebio,(m. 311) esiliato in Sicilia da Messenzio. Vi si legge una copia del VI secolo di un’iscrizione damasiana col ricordo dello scisma suscitato da tale Eraclio per la questione dei lapsi. In cubicoli vicini si vedono la primitiva iscrizione sepolcrale di papa Caio (m. 296) e due sarcofagi coi resti mummificati dei sepolti. In regione più remota è la tomba di papa Cornelio (m. 253), con l’iscrizione contemporanea latina contenente il titolo di "martyr"; belle pitture bizantine (2a metà del VI secolo). Accanto, la cripta di Lucina, il nucleo primitivo del cimitero.
Presso il cimitero di Callisto sono altre immense regioni cimiteriali alle quali corrispondono sopra terra antichi edifici; si vedono cripte assai importanti per pitture e sarcofagi; si ritiene che in questo luogo possano essere stati i sepolcri dei martiri Ss. Marco e Marcelliano e l’ipogeo di papa Damaso, essendosi rinvenuto un frammento dell’epigrafe da lui posta sul sepolcro di sua madre.
Verso il km 2 l’Appia si biforca: l’Antica prosegue nel rettilineo che in distanza si vede salire dalle Frattocchie ad Albano; a sinistra si stacca l’Appia Pignatelli, aperta alla fine del XVII secolo da Innocenzo XII per congiungere l’Appia Antica con la Nuova, nella quale sbocca, dopo circa 4 km, presso Capannelle.
Proseguendo nell’Appia Antica, a sinistra, nella Vigna S. Sebastiano, sono le catacombe ebraiche.
Sono uno dei cimiteri della colonia giudaica, numerosissima in Roma dalla fine della Repubblica, particolarmente agglomerata in Trastevere e intorno a Porta Capena. Queste catacombe, scoperte nel 1857, servivano per quest’ultima località; sono molto estese e raggiunsero il loro maggiore sviluppo nel III-IV secolo. Le forme costruttive e decorative sono analoghe a quelle delle catacombe cristiane; la decorazione pittorica tuttavia manca, secondo i precetti giudaici, di figurazione vera e propria: vi sono invece l’arca della legge, il candelabro a sette braccia, corni d’ariete, palme, ecc. Le formule, per lo più in greco, sono pure analoghe alle cristiane: "In Pace", "Il tuo sonno fra i giusti", ecc.
La via Appia scende (Km 2.4) ad uno spiazzo ove, a sinistra la Colonna votiva di Pio IX (1852) e, a destra, la Basilica di S. Sebastiano. Dedicata dapprima agli Apostoli Pietro e Paolo (basilica apostolorum), fu costruita nella prima metà del IV secolo, sul cimitero ove i loro corpi vennero custoditi in circostanze e per un tempo tuttora non precisati (secondo una tradizione vi sarebbero stati trasferiti nel 258, durante la persecuzione dell’imperatore Valeriano). Più tardi venne deposto nelle catacombe il corpo di S. Sebastiano, nato a Narbona nella Gallia di famiglia milanese, ufficiale dei pretoriani e vittima della persecuzione di Diocleziano, rivolta in un primo tempo specialmente contro i militari di religione cristiana. Dopo il IX secolo, essendosi perduta la memoria degli Apostoli, il Santo divenne l’eponimo della basilica. Era una chiesa a tre navate, delle quali furono murati gli archi nel XIII secolo; nel 1612 il cardinale Scipione Borghese la fece ridurre nella forma attuale da Flavio Ponzio.
La facciata barocca, di Giovanni Vasanzio, è preceduta da un portico su 6 colonne binate di granito, di cui due, di un raro granito verdognolo, risalgono all’antica basilica.
Interno della chiesa a una navata. Soffitto del Vasanzio. A destra nella prima cappella la pietra con un impronta lasciata, secondo una pia leggenda dai piedi di Gesù. Seguono la tomba del Cardinale Giovanni Maria Gabrielli (m. 1711) e la cappella Albani costruita da C. Fontana per ordine di Clemente XI e dedicata a S. Fabiano Papa; decorazione di C. Maratti. All’altare maggiore quattro preziose colonne di verde antico; affreschi della scuola di A. Carracci. A sinistra 3^ cappella S. Francesco di Assisi, attribuito al Muziano. La 1^ cappella in corrispondenza della sepoltura di S. Sebastiano nelle catacombe, fu eretta da Ciro Ferri per il cardinale Barberini; bella statua giacente di S. Sebastiano di Antonio Giorgetti, su modello del Bernini. Segue la lapide proveniente dalla catacomba con l’elogio del martire Eutichio scritto da Papa Damaso.