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MUSEO DELLE CATACOMBE DI S. SEBASTIANO Si inizia la visita dalla navata destra della basilica primitiva, ricostruita nel 1933 dalla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra sui resti antichi: visibili a sinistra le arcate di comunicazione con la navata mediana, murate nel secolo XIII e l’abside della cappella. Lungo le pareti, frammenti di sarcofagi ritrovati negli scavi governativi italiani e poi in quelli della suddetta Commissione Pontificia. Per una scala si scende alle catacombe, l’unico cimitero cristiano rimasto sempre accessibile, e perciò molto devastato. E’ scavato in 4 piani, di cui il 1^ quasi distrutto; si visita abitualmente il 2^. Nelle gallerie si vedono vari cubicoli, uno con epigrafe del V secolo in onore di S. Massimo; un altro, con resti quasi svaniti di pitture: Mosè fa scaturire l’acqua da una rupe; orante; Gesù bambino nella mangiatoia tra il bue e l’asino, l’unica pittura di tale soggetto nelle catacombe. Si può anche visitare una cappella del primo piano con memoria di S. Filippo Neri, pio frequentatore del luogo. Si giunge alla cripta di S. Sebastiano: altare a mensa, corrispondente all’antico, del cui basamento restano tracce; busto di S. Sebastiano, attribuito al Bernini. Da qui si arriva ad una cavità cui si deve evidentemente il nome di ad catacumbas che ebbe questo cimitero (da Kata=presso e Kymbas = cavità) e che si estese poi agli altri. Si trova 13 metri sotto il piano della chiesa e vi si aprono tre sepolcri. Il primo a destra decorato all’esterno dalle pitture di un banchetto funebre e del miracolo dell’indemoniato di Gerasa, ha l’iscrizione col nome del proprietario M. Clodius Hermes, di 75 anni. L’interno fu ridotto a sepoltura e inumazione e decorato da belle pitture (testa di Gorgone nella volta, vaso di frutta e uccelli a sinistra, clipei con varie raffigurazioni nel fondo). L’ipogeo di mezzo ha un descenso la cui volta è decorata da stucchi di meravigliosa conservazione; nel fondo della scala è, pure a stucco, un pavone. Si scende ancora in vani sepolcrali; sono interessanti alcune iscrizioni funebri in caratteri greci, ma in lingua latina e un graffito con la sigla IXOYE. (iniziali della parole greche significanti: Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore). L’ipogeo di sinistra è anche interessante per la decorazione a stucco del descenso e di un grande vano sepolcrale, perfettamente conservata; essa è formata da grandi tralci di vite nascenti da cantari, posati su finti pilastri. I 3 ipogei risalgono al II secolo dell’Impero e furono colombari a incinerazione; nella 2^ metà del II secolo divennero sepolcri ad inumazione, perché passati in proprietà di cristiani o cristianeggianti. Dai tre ipogei si sale a un ambiente che corrisponde circa alla metà della basilica ed è mozzato nell’alto dalla costruzione della basilica stessa (1^ metà IV secolo). Il dottor P. Styger, che lo studiò per primo, lo battezzò triclia, ossia luogo ove si celebravano banchetti funebri. Le pareti del vano avevano graffiti di devoti, dallo scorcio del III secolo al principio del IV, con invocazioni agli apostoli Pietro e Paolo. Alcuni dei graffiti sono al loro posto; gli altri, su pezzi di intonaco recuperati durante gli scavi, sono murati nelle pareti. Dal triclia si passa nella sagrestia, quindi nell’antico ambulacro che gira attorno all’abside, nel quale è ordinata un importantissima raccolta di epigrafi trovate scavando nel luogo. Si discende ad una costruzione posteriore alla basilica, detta Platonia, che si credeva il luogo della sepoltura temporanea degli apostoli. Gli scavi del 1892, hanno provato essere stata invece il mausoleo del martire Quirino, vescovo di Siscia in Pannonia, qui trasportato nel V secolo. Presso è la cappella di Onorio III con interessanti pitture del XIII secolo. A sinistra della Platonia, cubicolo absidato con altare murato contro l’abside; nella parte sinistra si leggono graffite le parole domus Petri, che alludono alla dimora sepolcrale dell’apostolo Pietro. A destra dell’ambulacro è una camera (resti di tombe medievali e del busto di papa Clemente XI) da cui si scende in uno dei colombari romani che, come gli altri adiacenti, è allineato in un antico diverticolo dell’Appia e anteriore a qualsiasi ricordo cristiano del luogo. Intorno alla basilica è una serie di celle sepolcrali e di grandiosi mausolei, alcuni ancora visibili. Questo luogo, dalla metà del III secolo al IX secolo, fu il più venerato di tutta la Roma sotterranea. Immediatamente prima della chiesa di S. Sebastiano, sbocca nell’Appia, da destra, la via delle Sette Chiese; ivi, nell’angolo di un vecchio cimitero, è sepolto il pittore Giulio Aristide Sartorio. La via, a 600 metri dall’Appia, attraversa la via Ardeatina; circa 300 metri al di là sono, a sinistra, le Catacombe di S. Domitilla o dei Ss. Nereo e Achilleo, forse le più vaste di Roma. Esse sarebbero state in origine il sepolcro domestico di taluni personaggi cristiani (Domitilla, innanzi tutti), appartenenti ai Flavi, cioè alla famiglia degli Imperatori Vespasiano e Domiziano.Appena scesa la scala si trova a destra la basilica eretta (390-395) sulla tomba dei Ss. Nereo a Achilleo martiri, che la leggenda fa servi di Domitilla iuniore nipote di Domiziano, mentre Damaso afferma che furono due militari. Scoperta nel 1874 è a tre navate: avanzi della schola cantorum; frammenti di transenne marmoree; colonna del martirio di S. Achilleo; davanti all’abside furono trovate tracce dei sepolcri dei Ss Nereo, Achilleo e Petronilla. Dietro l’Abside un cubicolo che accompagna al cielo tale Veneranda. A sinistra della basilica, l’antica regione cimiteriale dei Flavi Aureli, donde si passa nell’ipogeo dei Flavi (scoperto nel 1865), di opera muraria del I secolo dell’Impero e che aveva ingresso nella pubblica via. A destra di esso camera e volta, con banco che girava tutto attorno a due cubicoli (uno con geni e fiori, affresco di stile pompeiano, fine I secolo). Da questo antico ingresso parte una galleria che mette a un ipogeo con quattro grandi nicchie (simboli della vita, Daniele fra i leoni, pescatore, ecc., pitture del II secolo). Ai piedi di un grandioso scalone si svolge un’altra regione antichissima (cubico con genietti e una delle più antiche rappresentazioni del Buon Pastore, II secolo). Nel piano superiore si visita il cubicolo di Ampliato (pitture di stile classico). Altra regione del III-IV secolo contiene importanti pitture: Madonna velata e seduta in cattedra col Bambinello sulle ginocchia e 4 magi; Cristo e gli Apostoli; attorno, nelle pareti, scene raffiguranti il mercato del grano (magazzini, barche sul Tevere, operai che caricano e scaricano, bottega di fornaio). Circa 300 m. più innanzi sulla via Appia, in un avvallamento a sinistra, gli avanzi del Circo di Massenzio, edificato nel 309 e dedicato a Romolo, figlio dell’Imperatore, morto giovinetto nel 307, e che ha qui la sua tomba. Dall’Appia si vede il recinto quadrato di laterizio del sepolcro, ben conservato; sul sepolcro è costruita una moderna cascina. Dietro il recinto è l’ingresso.Il circo, o meglio stadio per le corse dei carri, è lungo m 482 (1620 piedi romani), largo 79 (625 p.r.); poteva contenere 18.000 spettatori su 10 ordini di gradini. La spina (muro divisorio dell’arena), poco alta, aveva, tra altre decorazioni, l’obelisco di Domiziano, poi eretto dal Bernini sulla fontana di piazza Navona. La spina aveva per scopo di separare il percorso del giro che dovevano fare i carri, uscenti dai carceres presso l’ingresso e di equiparare le condizioni dei concorrenti. I carceres e la spina erano disposti obliquamente. Alle due estremità erano le mete. Sette giri dello stadio costituivano il percorso della gara. Continuando tra due filari di cipressi nell’Appia, che qui sale a m 56, si giunge, Km 3, alla grandiosa Tomba di Cecilia Metella, uno dei monumenti classici nel panorama e nella visione tradizionale di Roma.E’ un maestoso torrione cilindrico di 20 metri di diametro, rivestito in travertino, con elegante fregio in alto, ornato di scudi gallici e di bucrani che hanno dato il nome di Capo di Bove a tutta la tenuta circostante. La grandiosa iscrizione, rivolta verso la via, ricorda la nobildonna quivi sepolta: è Cecilia, figlia di Quinto Metello Cretico e moglie di Crasso, figlio del triunviro e generale di Cesare in Gallia. Conteneva la camera sepolcrale e terminava con una merlatura: quella esistente nella sopraelevazione laterizia è però medievale. Nel 1299 fu dai Caetani trasformata in torrione del castello adiacente; di questo, nonostante la distruzione fatta sotto Sisto V, rimangono pittoreschi avanzi con un interessantissima chiesa di fronte. A destra della tomba, collezione di iscrizioni e di frammenti dei vari sepolcri vicini. Nella strada, addossate ai muri del castello, le tombe di Q. Granio Labeone e di Tito Crustidio, personaggi peraltro ignorati. Subito dopo la tomba di Cecilia Metella si oltrepassa il III miglio, entrando nella sezione antica dell’Appia (fino all’XI miglio), sgombrata dal 1850 al 1859, sotto la direzione di L. Canina (lapide su una casa a destra). E’ la parte più pittoresca della via; per un percorso di 10 miglia ancora sui due lati si alzavano le tombe. Con gli avanzi ritrovati, parecchie sono state ricostruite sul posto. Circa 400 metri dopo la tomba di Cecilia Metella, a sinistra, biforcazione per la via Appia Pignatelli e l’Appia Nuova. Circa 100 metri dopo, la torre di Capo di Bove, alto nucleo di sepolcro. Fra i sepolcri che seguono, alcuni salgono ancora a notevole altezza e dimostrano che si trattava di lussuose costruzioni a più piani. In alto talvolta terminavano in piramidi o cupole. Fra i grandi mausolei si trovano anche tombe più modeste, per esempio sarcofagi sopra un podio, sepolcri a camera con facciata architettonica, cippi isolati, ecc.. Vi sono anche alcuni diverticoli diretti a tombe situate più nell’interno. Poco al di là a destra, l’ex forte Appio (moderno). Oltre ai restauri alla strada si è usato un tempo raggruppare frammenti di iscrizioni di sculture e di architetture in complessi rustici. Talvolta l’aspetto dei monumenti è stato alterato da costruzioni sovrapposte, cioè torri medievali, sia di vedetta verso la costa minacciata dai pirati, sia di difesa per piccole borgate. Una di queste torri è a destra, subito al di là degli eucalipti che circondano il forte. Quasi di fronte, a sinistra su costruzione moderna, epigrafe che circonda i frammenti, ivi rinvenuti dal Canova nel 1808, della tomba di un Servilio, da non confondere con la tomba dei Servili presso cui si ritirò Nerone fuggiasco. Il Canova volle dare l’esempio di lasciare in posto gli oggetti di scavo, contro l’uso generale del tempo. Quindi, a sinistra km 4.5 circa, il cosiddetto sepolcro di Seneca (dubbio), con un rilievo di marmo rappresentante l’involontaria uccisione di Ati, figlio di Creso. Subito dopo, a sinistra, un sepolcro Rotondo, simile al mausoleo di Cecilia Metella, con cella a 4 loculi; poi, il sepolcro dei figli di Sesto Pompeo Giusto (un liberto) con lunga iscrizione in versi. A km 4.6 si è alla Proprietà Lugari, al IV miglio da Porta Capena. Vi è la cosiddetta tomba di S. Urbano, grandioso sepolcro a forma di edicola laterizia, dell’età degli Antonini, su cui nel medioevo si impostò la torre dei Borgiani. Di fronte, nei campi, altri cospicui avanzi tra cui un monumento quadrato con absidi (ninfeo ?), detto tempio di Giove. Tra il IV e il V miglio si ritiene che fosse il campo posto dai Goti contro Belisario nel 536. Fra i sepolcri che seguono si notano a destra quello dei Licini, indicato da una iscrizione, un monumento repubblicano di origine dorico e la tomba di Ilario Fusco con 5 busti della famiglia in rilievo, del tempo degli Antonini; quindi tomba a colombario. Altre iscrizioni sepolcrali di liberti imperiali della gente Claudia sono incastrate nel rudere che segue. Si nota poi il sepolcro di Q. Apuleio Panfilo con frammenti di lacunari in travertino. Un altro sepolcro di laterizi, quadrato, km 5.1 circa, è più eminente e presenta un pittoresco punto di vista sulla Campagna e lo sfondo dei Colli Albani e dei Monti Tiburtini. Segue, sempre a destra, il sepolcro ricostruito dei Rabiri con 3 ritratti in rilievo; la donna Usia ha gli attributi del culto di Iside. A destra, altri ruderi; a sinistra nel campo, specie di edicola quadrata a cupola piatta, a guisa di arco quadrifonte. Seguono nella via numerosi altri avanzi di monumenti in opus reticulatum, uno a esedra, un altro a colombario con sotterraneo. Si arriva ad un quadrivio: a sinistra si stacca la via Erode Attico, a destra la via Tor Carbone; poi si trova a destra un monumento a 2 camere, rivestito di edera e circondato da altri sepolcri e da frammenti. Più lontano a sinistra, sepolcro a camera quadrilatero, laterizio, contenente una raccolta di frammenti antichi (chiusa). Di qui i ruderi si fan di nuovo grandiosi e fittissimi. A destra, il rudere d’un monumento circolare di tufo costituisce un quadretto caratteristico. Grazioso è il piccolo cippo di Valeria Spes, a destra, con rilievi (scena di caccia). Si è qui alla V colonna miliare. La strada devia, evidentemente per rispettare tumuli preesistenti, uno dei quali, a destra, è un monticello, sormontato da torre circolare su podio di tufo. E’ certo dei più antichi e sarebbe, secondo la tradizione, la tomba di uno dei Curiazi morti nel leggendario duello. I sepolcri degli eroi di quel conflitto erano, secondo Dionigi di Alicarnasso, presso le fosse Cluilie, a cinque miglia da Roma. Le fosse avrebbero preso il nome da Caio Cluilio, duce degli Albani, che qui avevano posto il loro accampamento. Presso questo avvenne il celebre duello fra gli Orazi e i Curiazi, vinto dall’Orazio superstite. La tradizione colloca l’episodio sotto il Regno di Tullio Ostilio, durante la guerra contro Albalonga (673-642 a. C.). Nei tempi primitivi di Roma queste tombe, da non confondersi con la cosiddetta tomba degli Orazi e Curiazi, presso Albano, segnavano il confine dello Stato romano. Subito dopo a sinistra, km. 6, la strada che conduce al Casale di S. Maria Nuova. A destra nel campo resti di un ustrinum, recinto di pietra albana. A sinistra uno dei più grandi e pittoreschi nuclei di monumenti dell’Appia: è un gigantesco sepolcro piramidale e si trova al limite dei possedimenti dei Quintili che si vedono a sinistra. I frammenti posti di fronte, tra cui una sfinge, si ritiene appartengano alla sua decorazione. L’opera a sacco è tanto robusta che sporge in aggetti per più di tre metri intorno alla base formando con essa un monolito che ha resistito a ogni distruzione e, spogliato di massi di pietra, ha preso la forma di un fungo. Poco dopo, km 6.4, altri due tumuli di tipo arcaico. Sono questi gli altri sepolcri ritenuti degli Orazi. Di fronte al 2^, iscrizione del I secolo a. C. in versi saturnii di Marco Cecilio, con ringraziamento e augurio per il visitatore della tomba. Il monumento ha importanza perché indica il luogo vicino al quale fu sepolto l’amico di Cicerone, T. Pomponio Attico, nella villa dello zio Cecilio. La tenuta di S. Maria Nuova, sopra una collinetta allungata a sinistra, contiene gli avanzi magnifici e pittoreschi della Villa dei Quintili. Questa si estendeva fino al di là dell’Appia Nuova e, lungo l’Appia, dal monumento piramidale fino a Tor Mezza Via. Gli avanzi sono volgarmente detti Roma Vecchia e hanno infatti aspetto quasi di antica città. Il nucleo principale appartiene ai tempi di Adriano. La villa ai tempi di Commodo apparteneva ai fratelli Massimo e Condino Quintili, uomini d’arme valorosi e scrittori di opere d’agraria, saggi e ricchissimi. L’imperatore li fece morire e confiscò la villa. Le rovine che guardano la via Appia sono quelle di un ninfeo con ippodromo vicino. Nel XV secolo il ninfeo fu trasformato in castello, poi diruto. Si vedono anche i resti dell’acquedotto che alimentava la villa e la grande cisterna a pilastri e a volta, che raccoglieva l’acqua a circa 150 metri dal ninfeo. All’estremità della collina, tutta sparsa di ruderi, è un criptoportico. Ma le maggiori rovine sono sulla terrazza prospiciente l’Appia Nuova, donde si ha anche una magnifica veduta dei Castelli Romani. Le mura, conservate a grande altezza, mostrano finestre ed arcate arditissime. Si vede la pianta di un piccolo anfiteatro, di costruzione posteriore. La stanza rettangolare che segue era una terma, con vasca. Un’altra simile è verso Sud. Verso Ovest, un edificio cilindrico è probabilmente una cisterna a sei scompartimenti. Il casale di S. Maria Nuova è costruito sopra un’altra conserva d’acqua dei tempi adrianei. Di là dall’Appia Nuova è ancora in piedi, mezzo trasformato in torre d’opera saracena, un bellissimo monumento laterizio a decorazione architettonica, simile a quello detto tempio di Bacco. Da qui fino a Casal Rotondo, la via è quasi deserta. Si notano ruderi e frammenti di statue iconiche, l’iscrizione di P. Sergio, vinaio del Velabro, e altre fino, km 7.9, al maggiore sepolcro dell’Appia, detto Casal Rotondo m. 90. E’ il nucleo cilindrico su base quadrata d’un mausoleo a tumulo, sul quale sorge un casale di campagna, circondato da olivi e da orto. L’entrata è sovente chiusa; se aperta salire sulla piattaforma per lo splendido panorama. Il podio ha un lato di 120 piedi romani (m. 25,72). Il nucleo è di epoca repubblicana, ampliato al principio dell’Impero e più volte restaurato. Frammenti decorativi murati li presso e attribuiti al sepolcro, con maschere sceniche e un pezzo di iscrizione col nome Cotta, fecero pensare al Canina che questo sia il monumento eretto da Valerio Massimo (poi Messalino Cotta, avvocato e letterato, del tempo di Augusto) al padre Messalla Corvino. Di rimpetto a Casal Rotondo, piccolo monumento circolare di peperino, attribuito alla gente Aurelia. Continuando per il VII miglio, le tracce di monumenti, per lo più anonimi; notevole l’iscrizione arcaizzante di Sergio Scettico Demetrio e più oltre quella su travertino di P. Furio Flacco. Una grande epigrafe monumentale degli Antoni è del principio dell’Impero. In mezzo ad altri rottami si legge l’epigrafe di L. Quinzio, tribuno militare della legione XVI. Dopo questa lapide, i ruderi si stendono a destra nei campi. Si giunge, km 8.6, a Torre Selce m 107, così detta dalle scaglie di lastroni della strada che nel XII secolo hanno servito a costruirla sopra un tumulo romano piramidale. Il seguito fino al km 9 è molto diruto e abbandonato. Si noti l’iscrizione di Marco Giulio Pietà Epelide, amministratore della madre di Claudio per le ville imperiali. Di fronte è una iscrizione in versi sul sepolcro di C. Atilio Evodo, gioielliere della via Sacra. Prima di giungere ad un altra traversa, un nucleo elevato e strano di forma e alcuni ritratti sepolcrali. Seguono il cippo terminale di C. Cedicio Flacceiano, e la lapide di P. Decumio Filomuso (Mus, cioè topo, perciò con due topolini scolpiti a guisa di stemma parlante). Presso un altro nucleo a destra, km 9, la strada incurvandosi, diverge. E’ questa una rettifica dell’antico tracciato che era diritto e sostenuto da pietrame. La via comincia ad abbassarsi e appaiono le arcate dell’acquedotto che portava l’acqua dal Bullicame (sorgente solfurea presso Ciampino) alla villa dei Quintili. Più triste e abbandonato è il tratto che segue, nel quale solo alcuni rilievi del terreno mostrano il posto delle tombe. Vicino a un sepolcro, a camera a due piani, detto il sepolcro del vaso di alabastro (per un prezioso vaso cinerario di alabastro egizio qui rinvenuto e ora conservato nel Museo Vaticano), si vedono i blocchi di costruzione dell’antica strada, che, al termine della bassura, riprende l’antica direzione. Dopo 250 metri, a sinistra, è il nucleo d’un monumento absidato. Dirimpetto, nel campo, alto avanzo di calcestruzzo; dopo altri 300 metri, la Torre Rossa, di opera saracinesca, cioè a tufelli, del XII-XIII secolo, impostata su opera romana laterizia e col recinto del castello. Segue un sepolcro laterizio restaurato, con nicchia in alto e camera sepolcrale elevata. A circa 200 metri, altro nucleo di calcestruzzo e, di fronte, un colombario. La strada che si era abbassata ad 88 metri, incomincia a salire e si accosta sempre più all’Appia Nuova. A destra, altro grande monumento quadrato di calcestruzzo, che ha una cella sepolcrale con nicchie e altra cella sotterranea. Fra avanzi poco notevoli che seguono, un altro grandioso mausoleo circolare. Verso la fine dell’VIII miglio, a destra, camera sepolcrale con avanzi di stucchi, da alcuni ritenuta un santuario o antro di misteri. E’ detto Colonne d’Ercole, perché si ritenne il tempio d’Ercole costruito da Domiziano sull’Appia a sei miglia da Alba e otto da Roma. Vi sono raggruppati, oltre alle colonne del recinto, avanzi di statue raccolte nei dintorni. In questi dintorni incominciano tracce di ville. A destra, avanzi del monumento marmoreo di Q. Cassio, appaltatore di marmi; poi, a sinistra, monumento di laterizio di Q. Verannio, legato di Nerone in Britannia ove morì nel 62. Torraccio del Palombaro è detto un altro cospicuo monumento cilindrico, a destra dell’Appia e che da alcuni è stato ritenuto il sepolcro di Gallieno, mentre altri danno questo nome ad altro più ricco sepolcro al IX miglio. Deve in parte la sua conservazione all’esservi stata annessa la chiesuola di S. Maria Madre di Dio. A destra, a circa km 11.8, attraverso la tenuta di Fiorano, in km 1.5 circa, si giunge a un fontanile, donde si può risalire la collinetta detta della Giostra m. 132, ove fu l’antica città di Tellenae, la quale è pure accessibile dall’altra parte per la strada del Divino Amore o Castel di Leva. Non lontano da Tellene erano pure le città di Apiolae (tra il X e l’XI miglio sotto l’Appia, a destra del Rìo d’Albano o Pietroso, km 1.5 a SO di Castel di Leva) e d’Umegilla. Di queste città latine, distrutte ben preso dai Romani, non è peraltro certa l’ubicazione. Le rovine di Tellene invece sono abbastanza riconoscibili. Osservando altri avanzi di sepolcri più o meno distrutti (notevole la cosiddetta Ruzzica d’Orlando), si arriva a un gruppo di rovine che si estendono nei campi alla fine del IX miglio da P. Capena; a destra, le rovine della villa di Gallieno. Il mausoleo di questo Imperatore (morto nel 268) sarebbe, per alcuni, il bel rudero laterizio che sta un po' discosto dalla strada. In questo punto della strada era la 1^ stazione antica, Mutatio ad nonum, ove la posta cambiava i cavalli. Seguono una traversa, poi un terzo di km quasi spoglio di reliquie, quindi ricominciano monumenti più cospicui. Passato, a km 12.9, il confine m 130, tra il Comune di Roma e quello di Marino, appaiono altri tumuli e perimetri, e un grandioso monumento quadrato con zoccolo di blocchi di peperino e cornice, sormontato da tumulo. A destra, altro grandioso nucleo rotondo di calcestruzzo, con nicchie di mattoni in basso e scalette di accesso alla parte superiore; la cella è visibile; ha nicchie e volta a piramide rovesciata, con archi di sostegno di pietra albana. A km 14.5 sull’Appia a sinistra in questo punto è la sorgente dell’Acqua Solfata con avanzi di terme. L’Appia risale tra cumuli che celano nuclei di sepolcri. Dopo il XII miglio, presso l’Osteria delle Frattocchie, l’Appia Antica e l’Appia Nuova si congiungono.
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