| |
La Villa Adriana, la più vasta e la più ricca delle ville imperiali romane, è un grandioso complesso di rovine di palazzi, terme, teatri, palestre, portici, ecc. La villa fu costruita sui colli a Sud di Tivoli da Adriano (125-135), il quale vi fece riprodurre i luoghi e gli edifici che più l’avevano colpito nei suoi viaggi attraverso le Province: il Liceo, l’Accademia, il Pritaneo e il Pecile d’Atene, il Canopo sul delta vecchio del Nilo, la vallata di Tempe in Tessaglia e gli inferi immaginati dai poeti. Adriano poco godè delle sue delizie; ammalatosi, si ritirò a Baia, ove morì nel 158 a 73 anni. I successori di Adriano continuarono la costruzione e gli abbellimenti creando il complesso di edifici romani dove appaiono le più raffinate novità tecniche e decorative. La villa fu poi in parte spogliata di opere d’arte da Costantino per ornare Bisanzio, e devastata durante le invasioni barbariche. La villa, detta Tivoli Vecchio, servi anche di cava di materiali per gli edifici di Tivoli e per le fornaci di calce. Nel Rinascimento se ne conoscevano e visitavano le rovine; i primi scavi, ordinati da Alessandro VI e dal cardinale Alessandro Farnese, furono poi praticati da Pirro Ligorio per il cardinale Ippolito Il d’Este, che coi ritrovamenti abbellì la sua villa Tiburtina. Seguirono il cardinale Carafa e Marcello Cervini. Nel XVII sec. un tal Bulgarini di Tivoli, sotto Urbano VIII, ottenne licenza di scavare nelle sue possidenze, ove si trovavano l’Odeon e l’Accademia. Vennero poi gli scavi del Baratta e quelli del conte Fede, del cardinale Furietti e di A. Albani nel XVII sec. Specialmente questi ultimi sono interessanti perché misero In luce le sculture pregevolissime che fanno parte del Museo Capitolino. GlI scavi dell’Hamilton nel Pantanello o valle di Tempe raccolsero molte statue che si conservano nel Museo Vaticano e in Inghilterra. A queste ricerche prese parte anche il Piranesi, che lasciò una pianta delle rovine e incisioni degli edifici e delle opere d’arte rinvenute. Gli scavi furono più attivi nel XIX sec. e fra questi più fecondi quelli del Bulgarini, nei quali fu benefica l’influenza degli archeologi Nibby e Canina. Nel 1870 il Governo italiano acquistò la villa dalla famiglia Braschi, alla quale apparteneva dal 1803, ma alcune parti sono tuttora di proprietà privata. Gli scavi governativi furono condotti dopo il 1870 con metodo, rivolgendo speciali cure al restauro e alla sistemazione dei monumenti. Le sculture trovate furono trasferite a Roma (Museo Naz. Romano). L’antico ingresso della villa non è l’attuale; si è pensato ne facessero parte due pilastri nella vigna Gentili, non lontano dalla carrozzabile: sul dado di marmo rimasto si vede in rilievo una figura di Dioscuro. Più precisi accertamenti fanno pensare che i due pilastri siano ruderi di sepolcri monumentali. All’ingresso si apre un magnifico viale di cipressi secolari che costeggia a d. un grande quadrilatero (m 120 x 83) detto il Pantano, che era circondato da portici. Tenendo poi a sinistra secondo l’itinerario si trova a d. il piccolo teatro Greco, che conserva perfettamente la forma originale. La cavea, del diametro di circa 36 m, è scavata nelle pendici e la scena si eleva sopra un podio. Un bel panorama si presenta sull’alto della cavea dalla loggia imperiale. Per una stradetta a sinistra si giunge alla fontana di Palazzo, costruzione restaurata con una fontana di acqua potabile dinanzi a un incastro che ha incorporata una rovina. Qui presso era l’antica Palestra, di cui rimangono resti insignificanti, di là dalla quale scorre un ruscello, l’Acquaferrata, che viene giù da SE e si va a gettare poi nell’Aniene. La valle che esso traversa, boscosa e pittoresca, detta valle Pussiana, doveva aver rievocato nella memoria dell’imperatore il paesaggio della Tessaglia, perché la denominò valle di Tempe e Peneo il ruscello. La vallata peraltro è in gran parte artificiale, avendo servito di cava del tufo per le costruzioni della villa. Sulla riva del Peneo sorgeva il teatro latino, ora completamente ricoperto, il quale era più grande del greco. Una breve rampa fra ulivi e cipressi conduce alla spianata del ninfeo, già casino Fede, dove verrà ripristinato l’antiquarìum della villa. Si continua per il viale dei cipressi e si arriva al Pecile (così chiamato dai primi scavatori della villa, ma tanto questa come tutte le altre identificazioni sono ipotetiche), di cui si segue il muro N entrando dal lato O. La Stoà Poikile (portico ornato di pitture) era un famoso portico di Atene, così chiamato dalle diverse pitture che lo decoravano, opera di Polignoto, Micone e Paneno. La riproduzione dovuta ad Adriano, in forma assai libera, consiste in un peristilio, rettangolare, lungo 232 m e largo 97, coi lati minori un poco ricurvi. Sul lato N è un lungo e colossale muro di cinta, imponente, alto 9 m, che si estende quasi esattamente da E a O e che era fiancheggiato da portici a pilastri coperti da tetto a due spioventi, così che vi si poteva passeggiate all’ombra o al sole, in qualsiasi ora del giorno, godendo del fresco o del caldo a seconda della stagione. Nel mezzo del quadriportico era una peschiera di m 108.80 x 26; lo spazio intorno era probabilmente tenuto a giardino. L’area del Pecile, ottenuta artificialmente nel pendio del colle mediante un colossale interramento, ha come costruzione verso SO un muro con tre ordini di locali, le Cento Camerelle, un centinaio dì piccole camere, abìtazioni, si crede, dei pretoriani. Questi vani erano, nei vari ordini, accessibili solo dall’esterno, mediante balconi pensili in legno. All’angolo SO della grandiosa fronte è una latrina a molte porte, con condutture di scolo in terracotta. Nell’angolo NE del Pecile sono le rovine della biblioteca (già detta sala dei Filosofi), un rettangolo di m 17.35 di lunghezza e 11.82 di larghezza, con un’abside con 7 nicchie per scaffali, e 4 porte laterali; era aperta verso settentrione perché fosse fresca d’estate. Da questa parte si passa nel cosiddetto Teatro Marittimo o Natatorio, che è in edificio circolare di m. 42.56 di diametro con un peristilio ionico di marmo e, concentricamente, un canale (euripo) di m 4.80 di larghezza, rivestito di marmo di Luni; nel centro un’isoletta alla quale si accedeva con piccoli ponti mobili. Nell’isola si trova un atrio centrale con portico, su cui si aprono stanze di pianta singolarissima. I ponti girevoli hanno lasciato tracce del solco per far scorrere le ruote sul pavimento del canale. Si è pensato che questa singolare costruzione sia la copia di qualche celeberrimo santuario. Lasciando il Teatro Marittimo e continuando verso S, s’incontra a sin. il gruppo delle costruzioni di un ricco edificio termale, ov‘è un frigidarium rettangolare con vasca natatoria e un ambiente circolare con grande vasca, dominata da un’ardita semivolta e che aveva dalla parte di mezzogiorno 5 grandi finestroni. Il Paribeni vi ha riconosciuto un heliocaminos o stufa solare per bagni di sabbia e di luce. Si attraversa poi una valle di ulivi, chiamata lo Stadio, in direzione N-S, cui sono uniti due edifici, uno a Est e l’altro a Ovest: il più interessante è il primo, un cortile rettangolare di 59 m di lunghezza e 33.45 i larghezza, con un portico a colonne scanalate composite poggiato su di un podio in cui si aprono quaranta feritoie per dar luce ad un criptoportico; il secondo (a ponente) era singolarmente ricco di marmi policromi, colonne e fontane e presenta un cortile con 3 grandi esedre e una serie di sale; lo stato rovinoso non permette una determinazione più esatta. Dall’esedra a E si passa ad altre sale di un edificio a due piani. Di là dallo Stadio sono le piccole Terme, poi le grandi Terme: le prime sono chiamate anche muliebri oppure terme d’inverno; le seconde virili oppure terme d’estate. Le prime sono abbastanza ben conservate e hanno una grande sala ottagonale con aperture oblique per impedire le correnti d’aria; a E pare vi fosse, una grandiosa piscina natatoria, ora sparita (notare sul luogo gli splendidi cipressi). Nelle seconde vi è una grande sala circolare non ben caratterizzata, il frigidarium, decorato con finissimi stucchi, e due sale rettangolari; alle spalle di queste sono due altre sale di proporzioni colossali, una delle quali ha un’abside; notevoli le volte, le quali hanno spesso innovazioni ardite. Verso E è una piscina per nuotatori, chiusa dal lato NO da un Criptoportico (sui muri a intonaco, numerosi graffiti del XVI e XVII sec.), che conduce al cosiddetto Pretorio. Questo è costituito da strette celle, che essendo scure e inabitabili, dovevano essere magazzini e non (come taluno ha ritenuto) l’abitazione dei pretoriani (le guardie del corpo dell’imperatore). Di là si passa al Canopo, una valle artificiale che ha preso il nome dalla città di Canopo, a 15 miglia da Alessandria d’Egitto, famosa per un venerato tempio di Serapide e perché meta della buona società e della ricca borghesia di Alessandria. Si giungeva infatti a Canopo per un canale derivato dal Nilo e le cui rive erano fiancheggiate da lussuosi alberghi e locali di divertimento. Adriano fece scavare in questa valle, di 195 m di lunghezza per 75 di larghezza, un canale, sulla riva d. del quale erano 20 camere con un portico; e sulla riva sin. s’innalzava un grosso muro lungo 240 m, con contrafforti, contro il quale erano appoggiate le botteghe. In fondo, a S, è il tempio di Serapide (Serapeum): una sala ad emiciclo che era al tempo stesso ninfeo, poiché da talune nicchie delle pareti ricurve si riversavano grandi masse d’acqua che alimentavano il canale. Il Serapeo è l’edificio che ha dato una gran parte delle sculture d’arte egiziana che si trovano oggi ai Musei Vaticani e Capitolini. Salire al disopra del Serapeum, dietro la cui cupola il terreno si eleva e permette digodere della vista di una gran parte della villa in mezzo al verde cupo dei cipressi e al verde argenteo degli ulivi; nel fondo il paesaggio di Tivoli. A Sud, nell’uliveto Belgarini, è la cosi detta Accademia. Si tratta di un insieme di edifici che da alcuni fu chiamato Accademia, ma che, secondo altri, sarebbe un piccolo palazzo. Il nome di Accademia era quello di un fondo di terra, presso Atene, donato da Academo ai suoi concittadini e dove Platone fondò la sua scuola. Tra le rovine si scorgono una sala circolare detta il tempio d’Apollo, un peristilio e avanzi di 3 camere con stucchi finissimi. A circa 300 m a SE, tracce di un cortile e 80 m più lontano gli avanzi di un Odeon o teatro per gare musicali, di 45 m di diametro, con un’alta scena e la loggia imperiale nel settore di mezzo della cavea. Discendendo la collina a E si trova una scura vallata artificiale, scavata nel tufo per una lunghezza di 150 m, ombreggiata da una folta vegetazione e che conduce a un vestibolo semicircolare dove forse era il simulacro di Cerbero. E’ l’entrata agli Inferi, consistenti in 4 corridoi sotterranei, di m 4,78 di larghezza in forma di trapezio, scavati per circa 1 km nel tufo e illuminati da 79 aperture. Di là si dipartono piccole gallerie comunicanti con i vari edifici della villa. A 4 minuti a O dell’entrata del Canopo si sale nell’uliveto Roccabruna, conosciuto per la bellezza dei suoi ulivi (uno di essi, l’Albero bello, è ritenuto il più grande del territorio di Tivoli), verso una costruzione rettangolare, la torre di Roccabruna, che era certo un belvedere. Al pianterreno, sala circolare all’interno, con nicchie. Taluno ritiene che l’edificio sia l’imitazione della torre di Timone posta vicino all’Accademia di Atene. Di qui si può discendere per un viottolo al gruppo di rovine che sta dinanzi alle Terme, con un grandioso vestibolo o sala absidata a S per ricevere qualche statua colossale; a d. si entra nelle Terme e a sin, è un larario; di fronte è la porta dalla quale si esce seguendo l’orlo inferiore della terrazza. Tutto il muraglione di sostegno reca celle che continuano lungo parte del perimetro S del Pecile e si raccordano con le Cento Camerelle. Servivano forse di abitazione al basso personale della villa. Ritornando sui propri passi, vi è ancora da visitare il gruppo di rovine del palazzo Imperiale, ritenuto la vera dimora imperiale, posto parallelamente alla valle di Tempe e i cui fabbricati si raggruppano intorno a 4 peristili, chiamati la Pizza d’Oro, l’Atrio Dorico, il Peristilio Grande e il Cortile delle biblioteche. Dalle piccole Terme un sentiero a N sbocca alla Piazza D’Oro, nome moderno del quadriportico situato all’estremità SE del palazzo Imperiale. Fu cosi chiamata dalla ricchezza degli oggetti rinvenuti e dalla decorazione lussuosa di cui furono trovate tracce negli scavi del conte Centini ai tempi del Piranesi. Il peristilio era formato da 60 colonne alternate di cipollino e di granito (18 sui lati lunghi e 12 sui corti), di cui restano le basi. Sul lato SE è quella che si crede la SALA DI RAPPRESENTANZA, più fastosa, destinata alle udienze imperiali. Aveva pianta a croce greca, e comunicava a S con una grande esedra, ove, da sette nicchie, altrettante statue versavano acqua in marmoree tazze sottostanti. Uscendo a NO dalla piazza d’Oro, attraverso il vestibolo ottagonale con interessante volta a cupola, si passa al ninfeo, con due bacini di fontane e con una esedra a gradinate che fa supporre si tenessero qui audizioni musicali e recite. Continuando verso O, si trova l’Atrio Dorico, di pilastri scanalati (12 sui grandi lati, 6 sui piccoli) e una sala porticata, la cui abside è contigua alla Caserma dei Vigili; dall’altra parte è il cosiddetto ninfeo, forse sala per audizioni e conferenze. In seguito, verso N, si trova il Peristilio Grande, con una sala che ricorda una basilica a tre navate, delle latrine e un criptoportico; questo e gli edifici adiacenti, riconoscibili qui e oltre il Cortile delle Biblioteche, sono stati identificati (prof. Lugli) per una villa repubblicana interamente incorporata da Adriano nelle sue costruzioni. Si passa poi nel Cortile delle Biblioteche (m 65.78 di lunghezza per 51 di larghezza), con i locali a cui vennero dati i nomi, del tutto arbitrari, di Biblioteca Greca e di Biblioteca Latina, e altri locali. Si passa in mezzo agli Ospitali (Hospitalia), serie di vani a tre letti (dovevano servire per gli ospiti), affacciantisi sopra il corridoio centrale che si percorre; sono tutti adorni di semplici, però magnifici pavimenti di mosaico, a tessere bianche e nere. Da qui si esce verso NE arrivando all’estremità della vasta terrazza di Tempe, ov’è il padiglione di Tempe, a tre piani, che era forse un triclinio, per dimore passeggere in ore e stagioni propizie. La terrazza di Tempe è attualmente un bosco con bellissimi elci, cerri e carpini. Attraversandola si ritorna al Ninfeo, al Teatro Greco e all’uscita.
|
|